Donne da vicino

Vi proponiamo qui di seguito una selezione di profili tratti dalla rubrica "Donne da vicino", che Claudia De Benedetti, Consigliera UCEI, tiene sul mensile "Pagine Ebraiche". Per ulteriori profili, è possibile consultare (cliccando qui) l'archivio del giornale.  

Dicembre 2009 - Johanna Arbib Perugia

Johanna Arbib Perugia, Chairman del World Board of Trustees del Keren Hayesod, è una donna che incarna l’amore per Israele dell’ebraismo italiano. Bella ed elegante ma soprattutto appassionata, vive fra Italia e Israele, cuce rapporti economici, raccoglie sottoscrizioni e cura il loro impiego. Indossa una spilla con tre cuori attorno alla stella di David: il Lev Hai, simbolo di una nuova generazione di giovani donne leader con radicati valori ebraici.

Ben Gurion amava ripetere “chi non crede nei miracoli non è realista”: Johanna incarna il realismo necessario per il miracolo Israele, è leader sionista coraggiosa, fedele agli ideali ebraici, sempre concreta. Ho partecipato, in piena operazione Piombo Fuso, a una missione di solidarietà guidata da lei. Mi ha impressionato l’affetto, quasi filiale, che la lega al Presidente Peres, il suo modo di infondere forza ai parenti dei soldati rapiti o uccisi da Hezbollah. Con lei ho visitato i giovani soldati feriti.

Siamo rimaste ammirate per il coraggio loro e dei parenti, ci siamo chieste come dare un senso tangibile al viaggio. E’ nato così l’impegno per Ayalim, una via per rimodellare il sionismo. Ayalim sono i nuovi pionieri di Israele negli insediamenti nel Negev e in Galilea, ispirati dal desiderio di rinnovare la società israeliana. Oggi il progetto coinvolge 500 studenti universitari andati a vivere in aree difficili, che lavorano insieme da volontari per curare giovani indigenti, costruire infrastrutture, dissodare il deserto.
Insieme, beyahad, è la parola più vicina a Johanna: insieme alle comunità della diaspora, per esempio, il Keren Hayesod lavora oggi sui centri di accoglienza per i nuovi immigranti. Johanna ha acquistato alcuni mesi or sono un piccolo appezzamento di terreno nel deserto del Neghev. Cosa sorgerà? Qual è il progetto di questa nuova sfida? Lo vedremo presto e resteremo certamente ammirati da questa nuova prova del suo entusiasmo e della sua capacità di fare, insieme, per Israele.

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Maggio 2010 – Adriana Ottolenghi Torre

Dietro ogni Comunità ebraica che funziona c’è una donna che ne è il cuore; anche nella mia piccola Casale Adriana Ottolenghi Torre è il motore di tutte le attività. Dalla nascita del museo ebraico ha raggiunto quota 720 mila visitatori, ad ognuno offre la sua spiegazione, un distillato di preziosa saggezza. Estate ed inverno, da domenica a venerdì, dopo aver percorso le vie del ghetto in bicicletta, apre il portone del Tempio pronta ad accogliere persone d’ogni tipo, provenienti da tutto il mondo. Recentemente un ragazzo le ha chiesto quale fosse la sua parentela con Mosè e cosa avesse provato ad attraversare il Mar Rosso; lei, avrebbe voluto rispondergli che era un suo lontano cugino. Ha inaugurato l’ascensore per disabili del museo in compagnia del Presidente della Repubblica Ciampi, per non correr rischi ha pensato di annoverare l’installatore tra i pochissimi invitati.

In ricordo dei suoi antenati, con il marito Giorgio, presidente della Comunità da oltre 50 anni, ha donato una Atarà, una corona in argento; quando la osserva, il suo sguardo si vela di tristezza: non potrà mai rimpiazzare gli argenti murati nelle cantine della Comunità, razziati tra il 1943 ed il 1945 da fascisti locali molto ben informati. Per il capodanno ebraico prepara un Vov speciale che regala alle amiche presentandolo in raffinate ampolle. A Kippur tornano ogni anno a Casale i membri delle antiche famiglie monferrine, Adriana al termine della preghiera vespertina, apre la propria casa a vecchi e giovani, che ripercorrono con i loro racconti i cinque secoli di vita ebraica che li accomunano. Per i Seder di Pesach la sala mostre della Comunità è stracolma; Nella non c’è più ma Adriana, Laura, Daria e Diletta Carmi si impegnano instancabilmente accanto ad Adriana per tramandare canti e sapori piemontesi, tutti si accomiatano grati da Vicolo Salomone Olper dandosi appuntamento al Festival OyOyOy! quando il grande dipinto del Rabbino con le rose di Lele Luzzati li accoglierà nuovamente.

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Giugno 2010 – Esther Jungreis

Esther Jungreis ha appena terminato il suo tour accolta a Parigi come a Marsiglia, a Budapest come a Gerusalemme da standing ovation e applausi interminabili. E’ una Rebbetzin ottantenne sopravvissuta al campo di concentramento di Bergen Belsen. Arrivata negli Stati Uniti ancora stravolta dalla distruzione del suo shtetl e di gran parte della famiglia, si è sposata con Rav Jungreis, suo lontano cugino scampato anch’egli alla Shoah. Ha fondato Hineni - Eccomi – organizzazione internazionale che oltre a distribuire quotidianamente centinaia di pasti ed assistere fisicamente e psicologicamente vittime di maltrattamenti e violenze d’ogni tipo, organizza eventi culturali per raggiungere tutti i tipi di ebrei e ricondurli passo passo alla loro identità ebraica.

Migliaia di persone seguono i suoi corsi bisettimanali a Manhattan. Il suo link su internet è cliccatissimo. Introduce passi biblici in alcuni minuti fornendo spunti inediti, approfondimenti dall’apparenza banali, che invitano con saggezza all’osservanza. L’ho seguita a Neuilly per cercare di comprendere il segreto del suo incredibile magnetismo. Nel teatro comunale erano assiepate oltre 1500 donne di ogni età. Ha esordito dicendo che non avrebbe parlato in francese, ma nella lingua universale dei sentimenti e delle mitzvot. “Il Signore unisce tutti coloro che credono”, dice con semplicità in apertura della sua intensa prolusione. La parte più affascinante della serata è però il colloquio privato con le sue “fedeli”.

Esther accoglie una ad una le interlocutrici, le lascia parlare fissandole negli occhi, descrivere i loro problemi quotidiani: povertà, solitudine, figli che non arrivano, incompatibilità tra vita professionale e osservanza delle mitzvot, fornisce risposte articolate citando la Torah, alle non giovani signore in cerca dell’anima gemella suggerisce di dedicarsi allo studio della Mishnah. Per accomiatarsi dice ironica: “il mestiere del combina matrimoni è da sempre uno dei più diffusi al mondo”.

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Luglio 2011 – Grazia Gualano

Grazia Gualano è una giovane sannicandrese, ricercatrice e studiosa, attrice nel docu-film Zefat, San Nicando. Il viaggio di Eti. Ha un desiderio elementare, genuino, di descrivere il suo “tesoro”, di far rivivere l’ebraismo in un luogo in cui si è palesato in un modo totalmente eccezionale e irripetibile. In questi anni ha compiuto un percorso religioso autentico in una terra, quella del Gargano, che a suo parere avrebbe potuto mirabilmente essere teatro del racconto biblico.

Ne Il viaggio di Eti una giovane compie un viaggio nella comunità pugliese per scoprire la terra in cui vissero i suoi nonni e le sue radici ebraiche. È Eti, nipote di Eliezer e Esther Tritto, membri della comunità sannicandrese all’epoca di Donato Manduzio, bracciante pugliese che nel 1930 ebbe una visione e negli anni successivi, divenuto ebreo, port. all’ebraismo un gran numero di famiglie della sua città. Accanto a Eti vi è la testimonianza di Miriam che, a distanza di oltre cinquant’anni, ritorna al paese natio ritrovando la sua identità ebraica nei luoghi, nelle tradizioni nei canti, nei cibi e nel lessico famigliare.

Grazia interpreta se stessa, ebrea di San Nicandro oggi: “Vedere gli occhi di Miriam pieni di lacrime nel momento in cui rifluiva in lei il passato sannicandrese è stata un’emozione fortissima, avvertivo come lei le sensazioni e la gioia di quel tempo”. A San Nicandro le donne esplicano con particolare impegno il ruolo di depositarie della trasmissione dei valori ancestrali; Grazia non si sottrae, anzi aggiunge: “In un periodo in cui il popolo ebraico stava per subire le peggiori persecuzioni e la Shoah noi tenevamo acceso il nostro ner tamid, lume perenne”. Parla con ritrosia, soppesa le parole con umiltà, la sua vita è guidata dall’emunà. “Emunà - dice - per me significa profonda fiducia, grande spiritualità, è uno dei modi per esprimere il rapporto che lega tutti noi ebrei, è l’amore per il Signore Benedetto, per lo studio della Torah, per l’osservanza dei precetti”.

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Agosto 2011 – Rossella Bottini Treves

Rossella Bottini Treves è dall’aprile 2003 vulcanica presidente della Comunità ebraica di Vercelli che comprende nella sua circoscrizione anche le province di Biella, Novara e Verbania e conta attualmente una cinquantina di iscritti. Rossella è una donna di grande determinazione e carattere, alle orecchie porta due piccoli gioielli d’oro con incisa la parola ebraica hai - vita- e proprio la rivitalizzazione della sua Comunità è da sempre il suo imperativo categorico.

La sfida di Rossella è partita da un primo obiettivo: cancellare la sensazione che il suo territorio fosse un anonimo indirizzo sui lunari ebraici e portare Vercelli e Biella a impadronirsi nuovamente dell’identità ebraica che loro compete. Passo dopo passo Rossella ha raccolto intorno a sé un piccolo gruppo di giovani volontari entusiasti quanto lei. Da alcuni anni propone attività culturali e divulgative, seminari, giornate di studio, pubblicazioni e tutto ciò che può permettere di approfondire correttamente, in ambito non solo ebraico, l’ebraismo vercellese e biellese: un ricco programma che non ha nulla a che vedere con sporadiche visite alle sinagoghe o ai cimiteri ebraici.

Rossella è la voce ebraica di un territorio vasto in cui collabora brillantemente con amministrazioni pubbliche, istituti storici e soprintendenze ma soprattutto si fa carico, con competenza e oculatezza, dell’onere della manutenzione, del recupero e della valorizzazione dei beni culturali ebraici, cuore della sua Comunità: Tempio, cimitero, ghetto e sala Foa a Vercelli, sinagoga di Biella Piazzo.  In occasione della re inaugurazione della sinagoga di Biella, Rossella ha riportato in città tutte le antiche famiglie ebraiche biellesi accompagnate dalle giovani generazioni e da un folto pubblico; con grande orgoglio ha invitato a entrare nell’aula di preghiera dalle suggestive tende rosse; infine, durante il brindisi, con un pizzico di civetteria femminile ha offerto il gustoso salame d’oca preparato con la sua ricetta di famiglia.

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Marzo 2012 – Paola Bertino

Paola Bertino è titolare dell'unica panetteria kasher del Piemonte. Caratterizzare così la signora è però ampiamente riduttivo. Nella sobria vetrina del mondo di Paola è esposto un invitante campionario di pani, grissini, crostate e biscotti, ma entrando nel locale si apprezza l’insolita possibilità di trovare ogni tipo di cibo, essenziale per sopravvivere senza contravvenire alle prescrizioni contenute nella Torah: dal pollame congelato ai formaggi, dai vini ai dadi, sempre delle medesime varietà e packaging. Chi ha l’audacia di chiedere nuovi prodotti riceve l’invito a non disperare nel futuro, ad attendere fiducioso il periodo pasquale in cui azzime e amaretti romperanno la monotonia dell’offerta.

La mattina presto Paola riceve dal figlio Andrea teglie fumanti di focaccia e pizza preparate espressamente per gli allievi della scuola ebraica: a ogni cliente chiede l’aggiornamento dello status, come usano dire i giovani, e preziose informazioni si aggiungono alle notizie enciclopediche di cui dispone sulla vita comunitaria. Da oltre vent’anni, infatti, l’ebraismo piemontese trova nella panetteria Bertino il miglior centro di diffusione di pettegolezzi comunitari, il luogo in cui si creano alleanze politiche, si dibatte di idee e progetti di ogni genere. Il mercato di piazza Madama Cristina, la stazione di Porta Nuova e il frequentato centro islamico di via Berthollet a poche centinaia di metri garantiscono una clientela eterogenea che si integra perfettamente con i turisti ebrei alla ricerca di amuse bouche kasher. Imperdibile è la visita al forno, al delizioso retrobottega in stile gozzaniano con un televisore non proprio di ultima generazione e un’attigua toilette il cui uso viene concesso in casi di provata urgenza.
Recentemente è serpeggiato il terrore che Paola, rimasta vedova del signor Agapito, il panettiere, volesse chiudere l'attività; la mobilitazione è stata immediata e il pericolo per ora scongiurato, nella convinzione che i luoghi di culto vadano preservati.

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Luglio 2012 – Nomi Meschiany

Nomi Meschiany è l'icona delle giovani ebree spagnole di origine argentina. Capelli lunghi biondo cenere, fisico da modella, ballerina di tango sopraffina, parla correttamente cinque lingue, tra cui italiano e ebraico. Dieci anni fa ha lasciato Buenos Aires con tre figli piccoli e il marito Sergio, designer e architetto emergente ora presidente del Maccabi Spagna. Con gli scatoloni del trasloco ancora da svuotare ha fondato una tnuah, un movimento culturale sionista, oggi cuore pulsante della Madrid ebraica.

L'istituzione cui si ispira è Hebraica. “Per descriverla uso la parola chai - vita - perché é esattamente quanto accade nella sede di Buenos Aires, edificio di 14 piani che ospita al suo interno un teatro per 500 posti, una biblioteca di oltre 40 mila volumi, sei palestre, auditorium, piscina, bar, ristorante ma soprattutto è la quotidiana risposta alle grandi tragedie ebraiche avvenute a poche centinaia di metri dalla sede: l'attentato all'Amia, maggiore organizzazione di assistenza sociale ebraica argentina in cui, nel 1994, 85 persone furono dilaniate e centinaia ferite e l'attentato all'Ambasciata d'Israele del 1992 in cui 29 furono gli uccisi”.
Nomi é donna di grandi passioni: ha vissuto questi anni senza pausa, con entusiasmo e struggente nostalgia per il suo paese, per Once, il distretto ebraico in cui è nata, per la famiglia lontana. Adora i cavalli di Sant’Antonio de Areco, centro simbolo dell’antica cultura dei gauchos della pampa. Le sue giornate non possono cominciare senza un pensiero dedicato a El Flaco, il chitarrista e compositore Luis Alberto Spinetta morto di cancro ai polmoni qualche mese fa. Il piccolo principe di Saint Exupery è il libro della sua infanzia, lo cita durante i corsi di formazione dei giovani leader per il messaggio di condivisione e valorizzazione del patrimonio culturale che sottende, per l’uso dell’arte e della musica per sviluppare percorsi di accoglienza del diverso, di educazione alla mondialità e alla multiculturalità.

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Novembre 2012 – Gaetana Mariani

Gaetana Mariani è presidente e amministratore delegato di Villa Santa Maria di Tavernerio, Centro di eccellenza per la cura e la riabilitazione di bambini e ragazzi affetti da autismo infantile, pluriminorazioni e ritardo cognitivo di diverso grado. Quarantotto anni ben portati, equilibrata, prudente, volitiva, aperta al dialogo, grande lavoratrice, passa ore e ore circondata dal commovente affetto dei piccoli pazienti di cui si prende cura con dedizione e professionalità. 

Studia ebraico e ebraismo con umiltà e desiderio di comprendere. Si è avvicinata allo Stato d’Israele con molta discrezione, tessendo la collaborazione con il Centro, per tanti aspetti affine, di Tsad Kadima a Rishon Le Zion e costruendo una solida amicizia con Marina Norsi e Sandro Viterbo. Grazie anche alla loro paziente opera, durante l’Unexpected Israel Forum, ha firmato un accordo di cooperazione scientifica con il ministero della Sanità israeliano, l’Università ebraica di Gerusalemme e il Centro di riabilitazione infantile dell’ospedale di Beer Sheva, di cui Marina Norsi è tutt’ora cuore e anima e a Rosh Pinah ha appena posto solide basi per un nuovo ambizioso progetto in partnership con il blasonato Mifne Center.

A ogni viaggio in Israele unisce il lavoro alla scoperta delle bellezze incontaminate della Terra promessa, irrinunciabili sono per lei il venerdì sera al Kotel, la primavera in Galilea, l’alba nel Negev e una passeggiata nella vivace notte di Neve Tzedek. A Beer Sheva ha vissuto l'esperienza dei missili di Hamas, degli allarmi e della corsa nei rifugi, su un volo El Al, il piacere della compagnia del presidente Shimon Peres. Per stuzzicare il palato dei suoi ospiti ebrei osservanti ha messo a dura prova le sue abilità culinarie riuscendo a preparare una cena strettamente kasher con eleganza e raffinatezza degne della migliore cucina italiana.
Contrariamente alla mia abitudine non le ho sottoposto queste righe con la certezza che avrei incassato una totale censura: spero Gaetana mi perdonerà.

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Gennaio 2013 – Ornella Romano Talò

Ornella Romano Talò è da qualche mese ambasciatrice d’Italia in Israele. Il suo ruolo è difficile e delicato: accanto al marito Francesco Maria rappresenta la nostra cultura, il nostro buon gusto, la grandezza del nostro paese, ne interpreta gli aspetti migliori. Sorridente, riservata, desiderosa di conoscere, è arrivata alla bellissima residenza di Ramat Gan per ricoprire, per la prima volta, il ruolo di first lady. Ha risieduto nelle prestigiose sedi estere di Tokio, Bonn e New York dove l’ambasciatore Talò è stato, in periodi diversi, Consigliere d'ambasciata alla missione permanente presso le Nazioni unite e Console generale d’Italia.

Parla con saggezza dell’importanza della salvaguardia dell'identità italiana, del dialogo proficuo con tutte le realtà internazionali presenti in Israele, della necessità di rafforzare il fondamentale rispetto, la conoscenza e la stima reciproca tra popoli che vivono in Israele, con le loro tradizioni ancestrali. E’ andata al kibbutz Sasa in Alta Galilea per ascoltare le parole di Angelica Calò Livnè, presidente Beresheet Lashalom, che promuove progetti d'integrazione multireligiosi utilizzando diversi linguaggi artistici. Ricorda l’indelebile emozione che ha provato nel compiere il viaggio di trasferimento dall'Europa a New York, fatto volutamente in nave per sperimentare l'indimenticabile visione della Statua della libertà che accoglie chi arriva dal mare in città. E’ stato per il marito e per lei anche e soprattutto un significativo omaggio ai milioni di italiani che lasciano la loro patria per affrontare una nuova vita negli Stati Uniti.

Mamma di tre figli: le due ragazze sono rimaste in Italia a terminare gli studi, Paolo, il più giovane, frequenta in Israele il liceo internazionale americano a Even Yehuda e appena arrivato ha voluto andare con i genitori a Yad Vashem, alla commemorazione della retata degli ebrei romani del 16 ottobre. Con loro sta scoprendoquello che Ornella definisce senza esitazione un “paese straordinario”.

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Febbraio 2013 – Iris Levy Tehranian

Iris Levy Tehranian è una quarantenne mamma d’Israele, affascinante, ironica, disponibile e generosa. Da quando il marito Moris, commerciante di diamanti, pietre preziose e gioielli ha spostato la sua attività da Israele a Anversa prima e a Valenza poi, ha costruito tra le mura domestiche piccole e armoniose “tende di Abramo”, come ama definire le sue case, conservando e continuando le tradizioni ebraiche sefardite della famiglia. Con kavanah, intenzione, trasmette ai quattro figli emozioni intense e genuine, cucina per gli amici, tutte le settimane, il pane del Sabato, per le feste torte al miele, bomboloni, frittelle e bonbon al cioccolato. “La vita qui - dice serena - è molto diversa da quella che conducevo a Haifa e Tel Aviv: lì l’ebraismo permea tutta la vita: ogni angolo, ogni gesto, ogni cibo. In Italia ho capito l’importanza di preservare e alimentare la nostra identità. A Casale mi legano momenti bellissimi: Moris e io abbiamo scoperto la Sinagoga, siamo rimasti affascinati, abbiamo deciso di sposarci lì. Gli ebrei casalesi ci hanno accolti con grande affetto appena arrivati, sono la nostra famiglia.”

A Kippur ricorda il nonno materno Abu Hazira, discendente del grande rabbino marocchino Yisral Abuhatzeira, noto come Baba Sali, di come arrivava al Tempio per la solenne preghiera di Kol Nidreh alla testa di una moltitudine di fratelli, zii e cugini, tutti vestiti di bianco, con tallit e siddur in mano. Coinvolge le giovani famiglie israeliane che abitano in Monferrato, fa sentire loro “il calore del nostro popolo lontano dalla nostra Terra”. Per la maggiorità religiosa della primogenita Daniela ha organizzato una cerimonia intima e semplice: grandi coppe colme di confetti multicolori e due candele accese su una tovaglia bianca ricamata hanno fatto da cornice alla recitazione della benedizione di Shehecheyanu che in italiano significa: “Benedetto sii Tu Signore che ci hai concesso la vita, ci hai sostenuto e ci hai permesso di raggiungere questa occasione.”

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Aprile 2013 - Laura Shirli Tayar Alloun

Laura Shirli Tayar Alloun è l’astro nascente dell’hairstyle parigino. Ventottenne, ortodossa, sefardita di origine tunisina, mamma della vivacissima Shalvy, vive a Charenton le Pont, con la sorella Elise ha aperto da nove mesi Sist’Hair, decidendo di scommettere sul suo futuro in Francia ma soprattutto di offrire un’immagine nuova, fresca e coinvolgente della tzniut, la modestia e la discrezione nel vestire e nel comportarsi.
A Parigi i salons de coiffure sono vere istituzioni, interminabile è l’elenco delle grandi firme: dai parrucchieri di fama internazionale, alle accademie innovative, ai giovani ipertrasgressivi, la concorrenza è spietata. Laura Shirli per nulla intimorita, forte di un prestigioso diploma e di molto entusiasmo, ha creato il suo Bar à Beauté in cui vengono utilizzate tinture naturali, balsami vegetali, prodotti chimici ridotti allo stretto necessario.
Accanto alle pettinature tradizionali, offre la creazione, la cura e la pettinatura delle parrucche, ovviamente kasher, che vengono utilizzate sempre più dalle signore ebree. L’accogliente locale, arredato nelle sfumature del rosa antico, con ricercata selezione musicale, schermi piatti alle pareti, espositori che offrono accessori e gioielli di artisti israeliani emergenti, è strategicamente collocato nel XVI arrondissement in cui la popolazione ebraica è numerosa e ricettiva.

L’orario di apertura è legato al Sabato e alle feste; il venerdì Dina, simpatica e chiacchierona cugina di Laura Shirli, che si è ritagliata nel negozio uno spazio per aromaterapia, trucco e ricostruzione unghie, si improvvisa shampista. Prima di tirare giù la serranda le ragazze dispensano i loro comandamenti per lo splendore di parrucche e capelli: ricorrendo ai segreti delle nonne consigliano, una volta in settimana, di mescolare un tuorlo d’uovo con un cucchiaio di polvere di cacao, applicare e tenere in posa per quindici minuti, sciacquare e lavare. Il mix non puzza e nutre in profondità: Sist’Hair garantisce il risultato.

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Luglio 2013 – Angelica Calò Livné

Quando le chiedono quale sia il segreto della sua inesauribile energia, del guizzo negli occhi, dello sguardo colmo di ispirazione, Angelica Edna confida sorridendo: ” E’ il segreto dei tre metalli: una salute di ferro, una volontà di acciaio e…un marito d’oro!” Parlare con lei, ebrea romana, vulcano in ebollizione che sembra esplodere da un momento all’altro, significa ritrovare gli insegnamenti del collegio rabbinico, l’Hashomer Hatzair, le espressioni succose del giudaico romanesco, ma soprattutto scoprire Yehuda, il suo compagno di avventure: figlio di kibbutz, alter ego, la calma per antonomasia, con il quale condivide ogni sogno e ogni ideale.

Era convinta che non si sarebbe mai sposata, che non avrebbe avuto figli. Chi avrebbe avuto la pazienza di correre da una giostra all’altra, da un’idea all’altra, chi, con lei, avrebbe fatto dell’educazione, del sionismo, dell’ebraismo una ragione di vita? Yehuda le è vicino nei momenti di nostalgia, l’ha aiutata a capire e a integrarsi nella nuova vita che spesso era distante anni luce dagli ideali sognati al movimento giovanile. Hanno quattro figli maschi dei quali vanno orgogliosi, hanno educato generazioni di ragazzi all’Hashomer Hatzair in Israele e durante la loro shlichut in Italia. Danno vita a progetti comuni in scuole d’Israele per ragazzi emarginati, disabili, ragazzi a rischio e sono consulenti per la formazione professionale. Insieme hanno fondato Beresheet LaShalom, Teatro multiculturale nella Galilea, e sono già oltre 400 i ragazzi ebrei e arabi che hanno partecipato al progetto negli ultimi 12 anni. Molti, ormai sposati, telefonano per le feste e per ricordare che “fanno ancora parte della Famiglia”. Ad Angelica non serve molto per accendersi, entusiasmare e coinvolgere, risvegliare un pubblico di 1000 persone che non sa nulla di ebraismo e Israele. E Yehuda riesce a mantenere sempre colmo il serbatoio di amore del quale Angelica ha bisogno per far innamorare chi la circonda di tutto ciò che le è più caro.

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Dicembre 2013 – Stella Bolaffi Benuzzi

Mi viene incontro con passo rapido da sciatrice di fondo e agile da fiorettista, malgrado i capelli bianchi e le rughe sul volto. Ironizza: “Ho fatto cure estetiche per anni sciando a Plateau Rosa e col vento in barca a vela seguendo mio marito”. E’ Stella Bolaffi Benuzzi, torinese di nascita, che ha sofferto anni duri nell’infanzia da clandestina nascosta col fratello Alberto in montagna in Valle di Lanzo, non solo ricercati perché ebrei, ma perché nonno Alberto, fondatore della ditta filatelica, era suddito britannico e il padre Giulio comandante partigiano. La madre, cattolica, era mancata nel 1943. Affidati  alla coraggiosa maestra Gabriella Foà, pascolavano le capre per confondersi con i figli dei montanari, “ma era anche divertente!”. Alla liberazione riappare il padre dopo 18 mesi, comandante di 600 partigiani, otto ore di combattimenti alle Grange Sevine sopra Susa, nell’agosto del ‘44, 160 nazifascisti catturati.

“Stella cantava Urla il vento, fischia la bufera anche in collegio in Inghilterra”, racconta la sua compagna Sandra De Benedetti Bohm, “ma ai Seder pasquali in casa di mia madre intonava l’Hatikvah con la sua bella voce da mezzosoprano”. Laureata con una tesi sull’etica dei Salmi, due anni di studi nella biblioteca del collegio rabbinico di Torino con permesso eccezionale di frequentarla di rav Dario Disegni e infine training psicoanalitico a Milano, fra i didatti Luciana Nissim e Enzo Morpurgo. Ha lavorato nei servizi socioassistenziali, alla Scuola Europea di Varese e per un ventennio come giudice esperto del Tribunale per i Minorenni di Milano. Racconta del recupero della sua identità ebraica nel libro fresco di stampa “La balma delle streghe - l’eredità della mia infanzia tra leggi razziali e lotta partigiana” grata a Daniel Vogelmann per la pubblicazione malgrado il misto di “cibi” kasher e taref che vi ha cucinato. “Anche l’ebraismo si sta in parte aprendo al dialogo - conclude Stella - come aveva indicato il cardinale Martini inascoltato per molti anni”.

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Febbraio 2014 - Méléha

Alle lezioni di cultura ebraica nell’accogliente sinagoga di Rue Nicolo a Parigi Patricia Ouazan, in arte Méléha, è tra le allieve più assidue e preparate. Per descrivere questa brillante cantante dai profondi occhi scuri occorre spiegare che tutta la sua vita ruota attorno alla Teshuvah, al percorso che ha intrapreso una decina d’anni fa per ricercare la sua vera indole. Ebrea sefardita lionese, giovanissima accompagna orchestre jazz. Il produttore francese di origini armene Andre Manoukian la scopre e lancia i suoi brani d’esordio, con Gino Vannelli produce originali e intensi duetti. Il successo non tarda ad arrivare: diventa un volto noto del panorama musicale francese, si sposa con un calciatore, nascono due figli. La svolta della sua vita avviene dopo un periodo di studio con il rabbino Samuel Gurewitz: Méléha decide di mettere la sua voce al servizio della Torah e di seguire l’Halakhah, la norma codificata dall’ebraismo, secondo cui a una donna è consentito cantare in presenza di un pubblico esclusivamente femminile. Quello che avrebbe potuto apparire un improvviso ridimensionamento della carriera diventa una nuova incredibile opportunità da sfruttare per offrire canzoni e spettacoli a un pubblico speciale. Grazie al sodalizio con il compositore Sydney El Ancry in rapida successione escono brani dai titoli marcatamente evocativi come Imma, Shabbat Shalom, Bar Mitsvah, Adon Olam e Constantina in cui ripropone in chiave moderna le musiche ancestrali giudaico-andaluse.

Méléha racconta l’emozione che ha provato durante le tappe cinesi del suo recente tour. Dedica letteralmente anima e corpo alle celebrazioni per le maggiori età delle ragazze, alle feste per l’immersione della sposa nelle acque del Mikvé, il bagno rituale, e alle Hilluloth, pellegrinaggi annuali che vengono compiuti dagli ebrei marocchini sulle tombe dei giusti. Con un sorriso sognante conclude l’intervista ricordando alle amiche stonate che melodie e canti conducono il cuore dell’uomo verso il Signore.

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Aprile 2014 - Adrienne Rosenthal Tischauer

Adrienne Rosenthal Tischauer è una arzilla centenaria, sagace, brillante, dotata di uno straordinario senso dell’umorismo. La sua è delle poche storie liete della Shoah e per questo merita di essere raccontata. Nata a Budapest il 28 maggio 1913 ha vissuto a Vienna l’infanzia e l’adolescenza, membro della gloriosa squadra di nuoto dell’Hakoach, emigrata a Bruxelles nel ‘38, intrappolata dall’invasione tedesca nel maggio ‘40, ha conosciuto e sposato Willy nel ’41, quando entrambi erano deportati nel Camp de Grus nella Francia di Vicky.

Nel ‘42 il marito scappò dai lavori forzati e raggiunse la Spagna, Adrienne e la figlioletta Esther furono liberate nel ‘44 a Limonges. La famiglia si riunì nella Palestina mandataria nel ‘47. Dopo aver combattuto la prima guerra d'indipendenza dello Stato d'Israele i Tischauer si trasferirono in Germania. A Francoforte Adrienne ha affiancato Willy nella gestione del centro comunitario, lavorando con i movimenti giovanili e diventando la zia per antonomasia di generazioni di bambini ebrei provenienti dalla ex Unione Sovietica. Instancabile ha insegnato balli israeliani, costruito lampade di Chanukkah, cucito travestimenti di Purim, coltivato, senza troppo successo, la passione di combinare matrimoni. Insensibile al richiamo dei fornelli ha sempre lasciato il marito in cucina, offrendogli l’onore e l’onere di nutrire tutti i venerdì sera tavolate di ospiti con Gefilt fish, Cholent e Kugel. Incurante dell’ora, la mattina appena sveglia, telefona alternativamente a Mordechai, il secondogenito, presidente della Confederazione Europea Maccabi, a Esther o a uno dei quattro nipoti che vivono in Canada, Inghilterra e Israele. Senza la minima esitazione riesce a completare parole crociate nelle quattro lingue che parla perfettamente: francese, tedesco, ebraico e ungherese. E’ appassionata di thriller: “Adoro Alfred Hitchcock l’affascinante Jean Gabin nei panni del Commissario Maigret e l’imperdibile Peter Ustinov”, conclude facendo l’occhiolino.

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Luglio 2014 - Sandra Israel Cohen

Sandra Israel Cohen è la vicepresidente europea del Maccabi. Madrilena tutto pepe, ha deciso di fare l’alya la scorsa estate in concomitanza con i giochi della XIX Maccabiade, il più grande evento sportivo ebraico mondiale. Al suo ingresso nel Terry Stadium di Gerusalemme come capodelegazione della Spagna ha ricevuto un interminabile applauso, commossa ha abbracciato il marito Alberto e la figlia Alicia e rivolto un sorriso felice al presidente dello Stato d’Israele Shimon Peres. A Madrid ha fondato Hebraica, raffinata libreria di nicchia, affiancandole Davar, delizioso salotto letterario in cui ha organizzato appuntamenti culturali mensili di eccellenza. In una città poco incline ad approfondire le nefaste gesta di Isabella di Castiglia, le tappe dell’Inquisizione e la cacciata degli ebrei, Sandra con garbo e competenza ha invitato ospiti illustri proponendo un sapiente mix di approfondimenti storici, musiche e cibi sefarditi.

Seguendo i saggi consigli del compianto presidente del Maccabi mondiale Guiora Esrubilsky ha avvicinato con i Rikudei Am, i balli popolari israeliani, un gran numero di famiglie ebraiche argentine appena arrivate in Spagna. Ogni domenica nel verde di un centro sportivo ha organizzato grigliate, partite di calcio e tornei di pallavolo per tutte le età. Per i giovani ha ideato corsi di formazione mirati accogliendoli sorridente con il tradizionale augurio “chazak ve’ematz”, forza e coraggio, accompagnato dalla raccomandazione di essere sempre ragazzi fieri e consapevoli delle ardue sfide che fronteggia l’ebraismo del ventunesimo secolo. Sionista convinta ha deciso di andare a vivere a Netanya dopo aver condiviso con entusiasmo l’esperienza di un anno in kibbutz del figlio Sami. Tra le doti di questa brillante signora c’è anche l’abilità nell’imparare le lingue; dopo una manciata di lezioni in ulpan ha acquisito una parlantina in ebraico davvero invidiabile. Per cosa la sfrutterà non è dato sapere, certamente non sarà una scelta banale.