Il giardino perduto di Bassani

di Lucia Correale
 
“Come sempre mi succedeva quando tornavamo dalla villeggiatura, appena arrivato a Ferrara non seppi resistere al desiderio di fare un giro per la città. Mi feci dare una bicicletta …e me ne andai a zonzo, senza una meta precisa.” (“Le storie ferraresi”)
 
Alla scoperta di Ferrara, sfogliando le pagine che Giorgio Bassani  le ha dedicato. 
Un itinerario attraverso i luoghi della memoria, tra realtà e finzione letteraria.
La città è il fulcro del mondo letterario di Bassani, nato in una famiglia della borghesia ebraica. Antifascista militante, da giovane conosce il carcere e le persecuzioni razziali. Solo dopo la guerra comincia a pubblicare poesie, romanzi e racconti; il suo capolavoro, “Il giardino dei Finzi Contini” è la storia di una famiglia ebraica ferrarese colpita dalle leggi antisemite del 1938 e spazzata via dalle deportazioni.
 
“La mia casa era troppo bella e confortevole… Nel giardino le forme degli alberi si stagliavano nette: qui la magnolia…” (“Dietro la porta”) 
 
Conserva ancora intatto il fascino signorile d’altri tempi il palazzetto della famiglia Bassani: la leggendaria casa della magnolia. La magnolia  è sempre lì, forse non è quella piantata da Bassani ragazzo, ma la sua suggestione resiste, più forte della lapide che oggi racconta il luogo dove  Bassani si “aprì alla poesia e all’impegno civile”.
Anche i campi di tennis sono ancora lì, circondati dalla loggia del circolo Marfisa d’Este, dove lo scrittore amava giocare - e vincere - spesso contro Michelangelo Antonioni. 
 
Poi, nel ’38, la vita dorata si spezza. Le leggi razziali cancellano tutto, la scuola, il lavoro. Tutto era proibito.
Allora nasce la scuola ebraica di via di Vignatagliata, dove si ritrovano alunni e insegnanti cacciati dalla scuola pubblica. Lì Bassani, appena laureato, nel ’39 comincia ad insegnare. Si trova nel vecchio ghetto, anticamente chiuso da cinque cancelli di cui oggi non rimangono tracce certe.
 
“Una lapide in via Mazzini” è il titolo di un racconto di Bassani: al civico 95 si apre il portone della comunità ebraica ferrarese, falcidiata, durante la guerra, dalle deportazioni.
Nel romanzo dei Finzi Contini è il luogo in cui i protagonisti Giorgio e Micol si incontrano durante le festività ebraiche.
 
“Quando ci incontravamo sulla soglia del portone del tempio, in genere all’imbrunire, finiva quasi sempre che salissimo in gruppo anche le ripide scale che portavano  al secondo piano……a un dato punto ci si trovava immersi in  una specie di nebbia d’oro. (Il giardino dei Finzi Contini)
 
Il tempio che conosceva Bassani non c’è più. Oggi restano soltanto due delle quattro sinagoghe ferraresi: la piccola scola fanese che apre i battenti ogni sabato e la sinagoga tedesca o maggiore, riservata alle feste solenni.
Quella dei Finzi Contini fu devastata dai fascisti durante la guerra. 
E mai più ricostruita.
 
“Chi non ricorda, a Ferrara, la notte del 15 dicembre 1943? Chi potrà mai dimenticare, finchè avrà vita le lentissime ore di quella notte? Fu una veglia angosciosa, interminabile, per tutti.” ( La lunga notte del 43)
 
Appena fuori dalle stradine del ghetto,  intorno al castello estense, corre il muro di cinta lungo il fossato. Bassani ogni tanto tornava a fermarsi davanti alla lapide in memoria delle undici vittime della strage fascista evocata nel racconto “Una lunga notte del ’43”. 
Luoghi, strade, piazze scorrono attraverso il filo della memoria. La Certosa si staglia netta in una delle storie ferraresi, dedicata a Clelia Trotti, vecchia maestra socialista, compagna di militanza antifascista. 
 
 “Sarà per la dolcezza serena del luogo, ed anche, s’intende, per la sua quasi perfetta e perpetua solitudine, che piazza della Certosa è sempre stata  meta di convegni di innamorati.” (“Gli ultimi anni di Clelia Trotti”)
 
A ridosso delle Mura degli Angeli la passeggiata ferrarese procede sugli spalti: dietro gli alberi si apre il cimitero ebraico un tempo noto come Horto degli ebrei, aperto fin dal 1626. In mezzo all’erba, antiche pietre che sembrano affiorare dal passato.
In fondo, un po’ appartata, la tomba dello scrittore, marcata da una stele di Arnaldo Pomodoro. E solo qualche sasso…come nell’uso tradizionale.
 
“Rivedevo i grandi prati sparsi di alberi, le lapidi e i cippi raccolti più fittamente lungo i muri di cinta e di divisione e, come se l’avessi addirittura davanti agli occhi la tomba monumentale dei Finzi Contini.”(“Il giardino dei Finzi Contini”)
 
Inutile cercare il giardino di casa Finzi Contini, descritto nel romanzo e ricostruito dal film di Vittorio De Sica. Nella realtà non è mai esistito. Ne resta piuttosto una suggestione, in corso Ercole d’Este, a un passo dal Palazzo dei Diamanti, lungo le mura di un parco pubblico. Che i ferraresi chiamano il giardino perduto.
 
“Eppure, se chiudo gli occhi, Micol Finzi Contini sta ancora là affacciata al muro di cinta del suo giardino, che mi guarda e mi parla.”(“Il giardino dei Finzi Contini”)