Tu be-Av - festa agricola e dell’amore - affonda le sue radici ancora prima dei tempi del Talmud e cade il 15 (in ebraico le lettere Tet e Vav che formano la parola “Tu” equivalgono numericamente a 15) del mese di Av, il penultimo mese del calendario ebraico. Tu be-Av è l’ultima festività dell’anno ebraico.
Era questa l’ultima data utile per tagliare la legna che sarebbe poi servita per cucinare, per costruire case, per riscaldare e per i sacrifici; da quel momento in poi si doveva dare agli alberi e alla natura un periodo di riposo, fino all’inizio del mese di Nissan, il mese della primavera. Da notare anche che Tu be-Av cade esattamente sei mesi prima di Tu bi-Shevat (il capodanno degli alberi, giorno in cui si usa piantare alberi e che si celebra il 15 del mese di Shevat).
Anticamente era fissata in questo giorno la festa della fine della vendemmia. Ancora oggi molti Kibbutzim in questa data festeggiano nelle vigne questa suggestiva ricorrenza e si organizzano feste e giochi.
Sempre in questa data venne stabilito che le figlie di una tribù avrebbero potuto sposare i ragazzi appartenenti a una tribù diversa. Questo giorno venne scelto - secondo quanto ci racconta il Talmud - per riconciliare le famiglie che erano in lite. Al Cairo si usa offrire la dote e far sposare in questo giorno 5 fanciulle, estratte a sorte tra le ragazze ebree meno abbienti.
Tanto è antica questa festività, che nessun Maestro poté stabilirne con esattezza le motivazioni. E’ comunque nel Talmud che troviamo vivaci descrizioni del modo di festeggiare: in questo giorno le ragazze scendevano nelle vigne e danzavano. Indossavano tutte un vestito bianco, prestato da un’altra ragazza. La figlia del re prestava il suo vestito alla figlia del Sacerdote, la figlia del Sacerdote alla figlia dell’aiutante, e così via, affinché “non provasse vergogna chi non lo possedeva” (Talmud Bavlì. Taanit, 31a). Tutte insieme illuminate dal bagliore della luna, danzavano nelle vigne, fuori dalle mura di Gerusalemme, risplendenti grazia e giovinezza nei loro vestiti bianchi, e invitavano i giovani che non avevano già impegnato il loro cuore a alzare gli occhi per guardarle. Le più belle invitavano a ammirare la loro bellezza, quelle provenienti da nobili famiglie invitavano a considerare la loro nobiltà e così via, fino alle meno belle e di famiglie umili, che ricordavano come la bellezza sia fugace, come una buona fama possa andare perduta e che solo una donna che teme Dio è degna di lode.
I giovani le seguivano, con la speranza di trovare una sposa, e così si innamoravano e si celebravano i fidanzamenti. In perfetta armonia con il clima d’amore e di poesia del Cantico dei Cantici.