10 agosto 2014, è sera, cammino sui lungarni con il mio cane. Penso a che aspetto dovevano avere 70 anni fa, alla vigilia della liberazione: i ponti fatti crollare per impedire l'avanzata degli alleati, le macerie dei palazzi a bloccare l'accesso al Ponte Vecchio. Ogni collegamento interrotto tra le due rive. Già tanti legami erano stati interrotti negli anni precedenti, legami tra compagni di scuola, tra vicini, tra colleghi, mentre altri se ne erano formati o si erano rivelati più saldi, più forti, più veri. Come in un sogno si sovrappone l'immagine di un fogliolino di carta che ho trovato tra le lettere della mia mamma, un messaggio scritto rapidamente a lapis da un ragazzo alla sua professoressa nei primi giorni dopo la liberazione:
Cara Miranda, dopo tante peripezie finalmente l'abbiamo scampata… io desidero tanto tanto rientrare nel nostro ambiente scolastico. Che ne è stato di Paolo S.? E gli altri compagni e compagne? Ti prego di riabbracciare per me tutti i compagni e te stessa. Emanuele
Per l'allievo della mia mamma, i compagni e tutta la sua scuola erano un’ancora di salvataggio, un ponte con la vita normale.
Dopo la guerra Firenze non solo ha dovuto ricostruire i suoi bei ponti, ma ricreare, far rinascere le relazioni, i rapporti umani, la fiducia. Non è stato facile. Ora ci appare semplice affrontare il tema della Giornata della Cultura ebraica che quest'anno vedrà Firenze capofila nazionale: Ponti, legami. Se è così lo dobbiamo a chi ha ricostruito la sua vita e quindi la nostra vita, la vita in relazione all'interno della Comunità, con la città, con la cultura, con il mondo.
Firenze è come un grande mosaico, o meglio un puzzle, composto da moltissimi pezzi strettamente incastrati, ogni pezzettino un “ponte” verso tutti quelli che lo circondano. Ognuno è caratterizzato da colori e profumi, alcuni non sono nemmeno fatti dello stesso materiale, solidi come la pietra o lievi come le nuvole. Il quadro che ne esce potrebbe essere il sogno di una classe di bambini. Un arazzo tessuto con fili di tante provenienze: questa è Firenze, lo è storicamente, e dobbiamo impegnarci perché lo continui ad essere per tutti, è una responsabilità sociale, il Tikkun Olam, il concetto ebraico di responsabilità personale nella “riparazione del mondo”.
Siamo fortunati, non tutte le città sono come la nostra. Non tutti i presidenti di una comunità ebraica, se passano davanti ad un luogo di culto islamico, si sentono chiamare calorosamente, si sentono invitare ad entrare, a far vedere a chi li accompagna i pregiati mobili siriani ed i tappeti. Frutto del lavoro di tanti, dobbiamo essere orgogliosi di questi ponti. Non basta, dobbiamo crearne sempre di nuovi. L'essere città capofila nazionale della Giornata europea della cultura ebraica sarà occasione per crearne altri. La scelta di Firenze è per noi motivo di orgoglio, un riconoscimento di quanto la nostra Comunità si sia impegnata nel creare ponti e nel fortificare quelli già esistenti, un riconoscimento dell'esempio virtuoso che la nostra città rappresenta.
La Comunità di Firenze considera un suo valore fondante quello della solidarietà con tutti, non a caso l'anno scorso siamo stati i primi a rispondere all'appello del comune ad offrire una casa per i profughi. Ormai quell'appartamento, gestito da una cooperativa, ha visto il passaggio di molti provenienti da zone in guerra. I primi, sono stati dei ragazzi africani. Nella stessa palazzina abitano delle persone anziane: lo scambio e l'aiuto reciproco ha creato legami inaspettati e, come sempre accade, chi aiuta viene arricchito ed è a sua volta aiutato dal sentirsi parte di un più vasto progetto di solidarietà.
Essere al centro dell'interesse nazionale sarà sicuramente un'occasione di nuovi ponti all'interno della nostra città, con il resto dell'Italia ebraica e non ebraica e dell'Europa. Non dobbiamo dimenticare che il rispetto dell'identità di ognuno è garantito dal rispetto dell'identità dell'altro e affinché ciò avvenga è necessaria la conoscenza e la frequentazione reciproca.
I Ponti collegano due sponde, due realtà differenti, due concetti diversi.
Nel mondo ebraico cos'è lo studio, al quale bisogna applicarsi preferibilmente almeno in coppia, se non un “creare collegamenti”? Ogni punto del Testo rimanda ad altre voci, a pareri diversi e a volte opposti, ognuno dei quali pieno di dignità e verità.
I ponti, però, sono anche luoghi pericolosi, possono crollare, possono unire due sponde che sarebbe meglio restassero separate.
Per il Talmud (Shabbat 32a), l'attraversamento di un ponte rappresenta un momento di pericolo oggettivo, può quindi essere il momento in cui si rivela la nostra vera natura, In questo passo è scritto che gli uomini sono esaminati quando sono sui ponti.
Alla fine del medesimo passo si dice che le donne muoiono di parto per tre motivi: perché non rispettano le regole della niddà1, perché non accendono le candele dello Shabbat e perché non preparano la challà2. Il parto, come il passaggio di un ponte, è un momento critico, è esso stesso un ponte tra la vita in utero e la vita esterna. Per attraversare questo ponte corrono in aiuto le levatrici. Questo mi conduce ad un tema a me caro: quello delle donne durante la schiavitù d'Egitto, un momento in cui la relazione femminile permette di stravolgere il filo logico della storia.
Leggendo Shemot e i Midrashim di Shemot Rabbà3, la storia della schiavitù egizia può essere anche interpretata come una storia di ribellione, della capacità delle donne di essere interiormente libere, e della salvezza del popolo dovuta al loro coraggio e alla loro consapevolezza, o forse alla loro visione di un avvenire diverso dall'angusto presente. A quei tempi gli uomini accettarono la schiavitù, parve loro normale. Le donne no.
Quando il faraone ordinò di uccidere tutti i bimbi maschi, perfino Amram, la maggiore autorità della sua generazione, decise di divorziare dalla moglie Yokheved, per non generare figli. Fu sua figlia Miryam a spiegargli che la sua era una scelta sbagliata, visto che il faraone aveva parlato solo dei maschi. E poi, gli disse che il suo gesto avrebbe pregiudicato il futuro, tutti avrebbero seguito la sua strada dato che egli era un uomo giusto mentre il decreto reale emanato da un uomo malvagio poteva anche non essere messo in atto. Amram fini per tornare a sperare e risposò Yokheved (Talmud babilonese, Sotà 12a, Shemot Rabbà 1:19).
Yokheved era una levatrice, una donna abituata a dar vita e consapevole di quanto la vita sia preziosa. Quando partorisce un maschio e non può più tenerlo nascosto lo affida alla sorella Miryam, affinché lo ponga in una cesta nel Nilo. Sarà Miryam a prendere l'iniziativa di parlare con la figlia del faraone e a proporgli di dare il piccolo da nutrire ad una donna ebrea.
Le donne vivono il loro sentirsi libere di fare, di cogliere un momento particolare, per dare una svolta alla storia. E' la relazione tra queste donne, compresa la figlia del Faraone, che è gravida di vita.
Per tornare al tema dei ponti, sono convinta che le donne agiscono quando sono in relazione con se stesse e con le altre donne, e quando ne sono consapevoli. Se aderenti a se stesse, centrate, le donne sono anche capaci di usare e interpretare consapevolmente il linguaggio maschile, oltre al simbolico linguaggio femminile. Sono bilingui, le donne.
Per il mondo ebraico le mitzvòt sono elemento fondamentale ed imprescindibile. In fondo sono un ponte, un collegamento tra uomo e Dio e tra uomo e uomo. I Rabbanim approfondiranno il tema.
Sara Cividalli – Presidente Comunità Ebraica di Firenze
1 Le “regole della niddà” sono le norme che regolano il comportamento durante il ciclo mestruale.
2 La challà è una parte dell’impasto del pane che viene prelevata e bruciata in ricordo delle antiche offerte ai sacerdoti. Per estensione indica anche il pane dello Shabbat.
3 Shemot è la parashà – la porzione di Torah che si legge settimanalmente - che apre il libro dell’Esodo, da cui l’intero libro prende il nome. I Midrashim di Shemot Rabbà sono alcuni tra i principali commenti narrativi al libro dell’Esodo.